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Lezione - compito - studio era fino a qualche giorno fa il logaritmo più diffuso nelle nostre classi, nonostante che i sempre più precisi risultati scientifici delle neuroscienze sostengano che questo approccio tipico della lezione frontale limiti il piacere di imparare dei nostri studenti e non li solleciti sufficientemente a mettersi in campo.
Nata parecchi secoli fa come lettura del libro da parte del docente in una classe di alunni silenziosi ed attenti, negli anni la lezione frontale si è modificata, soprattutto in seguito all’avvento della stampa a caratteri mobili, che ha trasformato il libro da manoscritto sostanzialmente unico a prodotto di serie facilmente accessibile. Al centro dell’aula rimane, però, sempre il docente, con le sue conoscenze disciplinari, la sua interpretazione, le sue capacità di analisi, le sue abilità comunicative e didattiche ...
Oggi la lezione è diventata certamente più partecipata, ma non sempre produce piacere. Quel piacere a cui le neuroscienze attribuiscono sempre più importanza per l’apprendimento, come sostiene Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo presso l'Università degli Studi di Padova, parlando di 'warm cognition'.
“Le emozioni hanno un ruolo molto importante nella qualità dell'apprendimento degli alunni. Questo principio, noto agli insegnanti da secoli di osservazione, è oggi suffragato dalle scoperte delle neuroscienze, che non molto tempo fa hanno dimostrato l'esistenza di una connessione neurale tra sistemi emotivi e sistemi cognitivi". A livello cognitivo, la noia viene considerata l’emozione peggiore, mentre la gioia, l'allegria, il piacere che si prova a fare una cosa ... vengono ritenute le emozioni antagoniste alla noia e quindi indispensabili per promuovere l’apprendimento.
Diventa essenziale garantire sempre di più una didattica che metta al centro lo studente, che sappia promuovere l’acquisizione di saperi significativi e coinvolgenti e quindi attenta alle dinamiche relazionali e alla scelta degli strumenti adeguati per garantire il successo del suo percorso di formazione.
In questo momento di emergenza didattica, però, il compito dei docenti è ancora più difficile: occorre costruire un nuovo ambiente di lavoro, da ora fino a non si sa quando, come precisa la nota ministeriale n. 388 “Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza” del 17 marzo.
“Carissimi, l’emergenza sanitaria che l’Italia sta attraversando ha reso necessari, nell’arco di pochi giorni, provvedimenti che richiedono al Dirigente scolastico, nell’ambito del più ampio esercizio delle sue prerogative, di “attivare per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”.
Pertanto, affinché le attività didattiche finora svolte non diventino esperienze scollegate le une dalle altre, la nota ministeriale suggerisce di “riesaminare le progettazioni definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di inizio d’anno, al fine di rimodulare gli obiettivi formativi sulla base delle nuove attuali esigenze”. Cioè, ogni docente dovrà riprogettare in modalità a distanza le attività didattiche “evidenziando i materiali di studio e la tipologia di gestione delle interazioni con gli alunni...”: il tutto sotto la supervisione del Dirigente scolastico, il quale deve svolgere “un ruolo di monitoraggio e di verifica, ma soprattutto, assieme ai suoi collaboratori, di coordinamento delle risorse, innanzitutto professionali, dell’Istituzione scolastica.”
Non si tratta di un semplice adempimento formale ad una normativa: occorre ritornare, al di fuori della logica dell’adempimento, alle coordinate essenziali dell’azione del sistema scolastico e quindi non interrompere il percorso di apprendimento e continuare “a dare corpo e vita al principio costituzionale del diritto all’istruzione”, usando tutta la creatività pedagogica e didattica dei docenti. Ma è importante anche far sì che ogni studente, cogliendo l’occasione del tempo a disposizione e delle diverse opportunità, sia coinvolto anche emotivamente in attività significative dal punto di vista dell’apprendimento (lettura di libri, visione di film, ascolto di musica, visione di documentari scientifici...), soprattutto guidati da educatori competenti ed empatici, per quanto possibile in modalità di “classe virtuale”.
Ed è proprio in questi giorni di emergenza che si può maggiormente apprezzare l’utilità del digitale.
In pochi giorni le scuole si sono attivate (non certo senza criticità da parte di quelle non ancora attrezzate) per mettere in piedi una grande varietà di esperienze didattiche a distanza, i cui risultati saranno sicuramente differenti, ma testimonieranno come si possa trasformare l’emergenza in un’opportunità lavorando in una logica di sistema.
Una buona parte degli Istituti, anche in base alle diversità di ordine scolastico e/o territoriali, sta già fornendo un’offerta formativa importante, alternando videolezioni a interazioni su piattaforme di classe; altre scuole stanno semplicemente inserendo sui registri elettronici compiti e materiali, senza un’adeguata presentazione e successiva rielaborazione.
Certamente la necessità di usare al massimo la tecnologia richiederà uno scambio di esperienze fra i docenti e quelli con maggiori competenze informatiche potranno aiutare i loro colleghi meno esperti. Infatti, in questi giorni di emergenza, in quasi tutte le istituzioni scolastiche, ha assunto maggiore rilevanza l’animatore digitale, un docente che, dopo la pubblicazione del Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD) (pensato per guidare le scuole in un percorso di innovazione e digitalizzazione, come previsto nella Legge 107/2015), dovrebbe avere un ruolo strategico nella diffusione dell’innovazione tecnologica a scuola e quindi, insieme al team digitale, essere una risorsa indispensabile per costruire, insieme al dirigente scolastico, un contesto organizzativo nuovo e garantire il necessario supporto tecnico e didattico a tutti gli altri docenti.
L’istituzione di una “classe virtuale” richiede, però, non solo maggiori competenze informatiche ma anche una maggiore comunicazione fra i docenti: ciascuno dovrà condividere con i colleghi tempi e spazi di intervento, a meno che non si pensi alla classe virtuale come ad un contenitore in cui vengono semplicemente messi contenuti, assegnati argomenti di studio ed esercizi di verifica, fatto che andrebbe contro la nota ministeriale n. 279 dell’8 marzo 2020 e la n. 388 del 17 marzo.
“Il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento.” (Nota ministeriale n. 388 del 17 marzo 2020)
La nuova aula virtuale dovrà essere organizzata attraverso modalità di suddivisione di spazi temporali di lavoro chiari ai ragazzi ma, quando l’età lo richiede, anche ai genitori, alleati con i docenti non solo per ottenere il maggior impegno dei loro figli, ma per contribuire a creare una vera e propria comunità educante.
“Nella consapevolezza che nulla può sostituire appieno ciò che avviene, in presenza, in una classe, si tratta pur sempre di dare vita a un “ambiente di apprendimento”, per quanto inconsueto nella percezione e nell’esperienza comuni, da creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta.” (Nota ministeriale n. 388 del 17 marzo 2020)
Occorre, però, differenziare la didattica in base al grado di scuola, ci spiega la Nota n. 388.
Per la scuola dell’infanzia è opportuno “sviluppare attività, per quanto possibile e in raccordo con le famiglie, costruite sul contatto “diretto” (se pure a distanza), tra docenti e bambini, anche solo mediante semplici messaggi vocali o video veicolati attraverso i docenti o i genitori rappresentanti di classe, ove non siano possibili altre modalità più efficaci”, privilegiando la dimensione ludica.
Per la scuola primaria e i successivi gradi di istruzione, a seconda dell‘età, la proposta didattica dei docenti deve “consentire agli alunni di operare in autonomia, basandosi innanzitutto sulle proprie competenze e riducendo al massimo oneri o incombenze a carico delle famiglie (impegnate spesso, a loro volta, nel “lavoro agile”) nello svolgimento dei compiti assegnati”, ricercando un giusto equilibrio tra attività didattiche a distanza e momenti di pausa, in modo da evitare i rischi derivanti da un'eccessiva permanenza davanti agli schermi.
Certamente, specialmente per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, è indispensabile il raccordo tra le proposte didattiche dei diversi docenti del Consiglio di Classe per evitare ai ragazzi un peso eccessivo dell’impegno online, “magari alternando la partecipazione in tempo reale in aule virtuali con la fruizione autonoma in differita di contenuti per l’approfondimento e lo svolgimento di attività di studio”.
“In particolare, negli istituti tecnici e professionali, caratterizzati da una didattica declinata tipicamente nella duplice dimensione della teoria e della pratica laboratoriale, ove non sia possibile l’uso di laboratori digitali per le simulazioni operative o altre formule, che pure diverse istituzioni scolastiche stanno promuovendo, il docente progetta – in questa fase – unità di apprendimento che veicolano contenuti teorici propedeutici, ossia da correlare in un secondo momento alle attività tecnico pratiche e laboratoriali di indirizzo.” (Nota ministeriale n. 388 del 17 marzo 2020)
A cura di Viviana Rossi e Maria Enrica Bianchi
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