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Il ritiro sociale è quel fenomeno che riguarda i ragazzi e le ragazze che volontariamente abbandonano le relazioni amicali, i loro percorsi scolastici e tutti i contatti sociali, per rinchiudersi nella loro stanza e dedicarsi esclusivamente ad attività di video giochi, di visione di film, di realtà virtuale… fino ad arrivare all’isolamento nella loro stanza, anche dalla famiglia. Come si potrebbe prevenire questo fenomeno che, invece, sta sempre più dilagando?
Che cosa si intende per “ritiro sociale”?
Oggi si parla molto del ritiro sociale dei nostri giovani dall’ambiente scolastico e sociale in genere. In realtà non si tratta di un fenomeno nuovo, ma di una problematica che è diventata l’espressione di un disagio crescente nell’adolescenza… o anche prima.
Infatti, in Italia, già nel 2018, tre milioni di ragazzi e ragazze si erano ritirati dalla scuola e questo dato preoccupante ha spinto l’Istituto Minotauro ad approfondire il fenomeno con un’indagine dettagliata. Sono stati coinvolti 150 partecipanti tra insegnanti, operatori, genitori e ragazzi in cinque diverse regioni italiane. Il lavoro è stato condotto all’interno del progetto Giovani Connessi, selezionato da Con i Bambini e coordinato dal Consorzio Nazionale CGM. (F. Carlorecchio)
Certamente il ritiro sociale, vissuto nella preadolescenza e adolescenza, è una realtà ampia e complessa e sovente ci si rende conto del disagio vissuto solo quando si arriva al vero e proprio isolamento, con ragazzi e ragazze chiusi in camera e famiglie disperate. Ma ci sono anche degli spazi maggiormente sfocati che circondano e precedono il ritiro, quali possono essere il bullismo, un’eccessiva ansia sociale, il sentirsi inadeguati o privi di autostima, la dipendenza dai media e dai videogiochi; spazi dove si potrebbe tentare di lavorare sulla consapevolezza e sulla sensibilizzazione per cercare di fermare, anche a livello culturale, l’espansione del fenomeno.
Ora questo fenomeno ha iniziato a coinvolgere i più giovani, toccando anche la fascia preadolescenziale della scuola secondaria di primo grado. Sempre di più, anche in Italia adesso, si parla dei “ragazzi ritirati”, quelli che in Giappone vengono definiti come hikikomori. (Approfondimenti nello SCARICABILE 1)
Ma cosa s’intende precisamente con la definizione ritiro sociale?
Il ritiro sociale è quel fenomeno che riguarda gli adolescenti (e ora anche i preadolescenti) che volontariamente abbandonano le relazioni amicali, qualsiasi percorso scolastico e tutti i contatti sociali, per rinchiudersi nella loro stanza e dedicarsi esclusivamente ad attività di video giochi, di visione di film, di lettura di fumetti… fino ad arrivare all’isolamento, anche dalla famiglia.
È un evento doloroso, e dalla ricerca dell’Istituto Minotauro emerge un dato chiaro: ragazzi e ragazze sono più consapevoli del fenomeno di quanto non lo siano gli adulti (insegnanti, genitori). E chiedono più spazio, a scuola e non solo, per parlare dei loro problemi. (F. Carlorecchio)
Quali sono le cause del ritiro sociale?
Si tratta di concause: senso di inadeguatezza rispetto a sé stessi e in rapporto agli altri; senso di disagio percepito, spesso senza consapevolezza, nel passaggio dalla fase infantile a quella adolescenziale. Vi sono anche casi in cui il ritiro sociale è dovuto a cause ben definite ed è provocato da elementi oggettivi: la necessità di cercare lavoro, una gravidanza imprevista… che costringono studentesse e studenti ad abbandonare la scuola; ma per la grande maggioranza dei soggetti coinvolti, invece, è legato alla fatica di relazionarsi con gli altri e a sensazioni di malessere profonde.
La condizione di ritiro sociale può nascere in famiglia, dove ragazzi e ragazze sono delusi dal fatto di non ricevere, secondo la loro opinione, abbastanza attenzioni, ma è soprattutto la scuola che può provocare condizioni di ritiro perché spesso genera percorsi scolastici difficili, che non tengono conto di difficoltà scolastiche o di potenzialità non riconosciute e accettate, e relazioni sociali costellate da episodi di bullismo, scherzi e insulti che possono favorire l’allontanamento dalla scuola. (E. Franco)
Molti esperti, inoltre, ritengono che sia proprio questa nostra società individualista, sempre più esigente e competitiva, che porti a esasperare tale fenomeno.
Nella mia esperienza ho incontrato bravi studenti con ottimi risultati che improvvisamente spariscono dalla scuola senza ulteriori spiegazioni e, anche se il loro desiderio è quello di tornare, hanno nel loro vissuto una ferita, quella dell’abbandono, dell’allontanamento, sempre aperta; alla fine c’è sempre l’impossibilità del ritorno e la sensazione di aver fallito, racconta un’ insegnante.
La società si sta facendo sempre più individualista e competitiva e l’ossessione ad essere sempre performativi trasmette agli adolescenti la sensazione di non essere adeguati se non hanno successo e non sono popolari tra i coetanei. Rende poi quasi impossibile tollerare dei fallimenti. Insomma, la percezione dello sguardo dell’altro su di sé talvolta si fa insostenibile e rimanda un’immagine di sé come priva di valore. (S. Padoan)
Inoltre, negli spazi sociali e nella scuola la dimensione corporea è troppo compressa, spesso non è neanche considerata un aspetto da educare: infatti, le esperienze di gioco e socializzazione, in contesti liberi e autonomi, oggi sono limitate, spesso contenute in situazioni strutturate, legate a regole e controllate da adulti.
Frequento il liceo e sono molto preoccupata per me stessa. Tutto è iniziato l’anno scorso quando praticando la ginnastica artistica ho avuto un incidente e ho iniziato a chiudere i contatti con i miei compagni, ma soprattutto con le mie amiche della squadra e mi sono chiusa nella mia camera con il pensiero fisso di non essere più adeguata e che tutti ce l’avessero con me, racconta P., 15 anni.
Mentre il gruppo accelera nelle sue mille interazioni e costruisce nuovi modi e riti, il ragazzo rimane seduto al suo banco e, gradualmente, si allontana da un tracciato di crescita condiviso con la propria generazione.
È questo il momento in cui, più o meno consapevolmente, emerge il bisogno di prendere distanza dal luogo dove vive il gruppo. (E. Bianchi)
Sovente, poi, sono molti gli adolescenti che non sanno reggere situazioni conflittuali e non sanno sempre gestire la propria rabbia e i conflitti: in molti casi, vengono visti subito come violenti e intollerabili. Alcuni ragazzi e alcune ragazze, che hanno poi scelto la loro condizione di ritiro sociale, hanno magari provato a vivere il conflitto o delle situazioni ostili in classe e in famiglia, ma poi hanno preferito vivere esperienze corporee e rabbie represse in una realtà virtuale dove non si sperimentano reazioni fisiche reali.
E se alcune famiglie tendono a descrivere la condizione di ritiro come un momento transitorio di un percorso di crescita, altri genitori, invece, sono molto preoccupati nel vedere i propri figli scivolare in una situazione che li isola dal mondo e dalla realtà scolastica e sociale e non si sentono all’altezza della situazione.
Di colpo nostro figlio si è barricato nel suo mondo fatto di internet, libri e musica e ha cominciato a rifiutare la relazione anche con noi e più cercavamo di motivarlo a riprendere la sua vita precedente, ricca di esperienze, più trovavamo un secco rifiuto, racconta il padre di un ragazzo di 17, studente brillante che ha scelto di ritirarsi dalla vita sociale.
Certamente sono più a rischio studentesse e studenti con rapporti poco significativi e/o con situazioni relazionali e familiari complesse. Inoltre, spesso i tentativi fatti dai genitori per mettersi in ascolto del proprio figlio o figlia non sono percepiti come una porta aperta di dialogo da utilizzare nel momento del bisogno, ma come una vera e propria forma di controllo… E questo peggiora le cose.
Angoscia che talvolta viene contenuta dall’utilizzo di Internet, in grado di sedare le ansie, di consentire la sperimentazione di nuove parti di sé e di rendere accettabili le relazioni con gli altri, grazie alla mediazione di un mezzo tecnologico che rende i contatti meno invadenti e più tollerabili per il fragile sé adolescenziale. (Adomagazine)
Internet e la rete in genere, quindi, non dovrebbero essere demonizzati, ma dovrebbero trovare più spazio nella scuola, spiegate e utilizzate in modalità di apprendimento cooperativo. Inoltre, fuori dalla scuola dovrebbero esserci più occasioni di socialità in presenza, destrutturate, non sempre controllate dagli adulti, anche per i più piccoli che, come abbiamo già sottolineato, hanno pochissime occasioni di gestione autonoma dei propri spazi personali.
Gli esperti sostengono che spesso molti genitori non riescono a tollerare che i propri figli possano sentirsi tristi e vivere esperienze fallimentari o demotivanti nel loro percorso di crescita.
Molti passano tutta la vita a provare a rimuovere gli ostacoli che potrebbero pararsi davanti ai figli salvo poi, quando loro lamentano un ostacolo, negarlo e ribellarsi all’idea. Il timore è che ne vada della loro capacità genitoriale, quando invece basterebbe stare nelle difficoltà dei figli e non sminuirle in alcun modo. Sono le sofferenze che non trovano spazio nella mente dell’adulto che rischiano di radicalizzarsi, perché il ragazzo si sente non capito e lasciato solo con le proprie angosce. (S. Padoan)
Cos’è successo durante la pandemia?
Sicuramente la pandemia ha inasprito alcune forme di ritiro sociale, ma, come precedentemente detto, le modalità e le motivazioni di disagio erano già esistenti e le cause sono rimaste, almeno in parte, quelle che abbiamo già descritto.
La pandemia ha estremizzato la tendenza alla performance nella scuola: è aumentata l’ansia da prestazione, alimentata sia dagli insegnanti sia dai genitori. I ragazzi faticano a capire che il voto non sempre li rispecchia, perché in primis sono gli adulti a caricare di significato questi numeri. A sentire lo stress non è solo chi arranca in classe, ma anche i più dotati. (A. Facchini)
Inoltre il Covid ha fatto emergere le difficoltà di tutti noi, ma è stato anche subito chiaro a tutti che il bisogno di chiedere aiuto poteva diventare socialmente accettabile.
Ed è proprio in questa ottica che si è cercato di dare una possibilità agli studenti e alla studentesse di lanciare dei segnali di allarme e bisogno in un momento storico dove la fragilità delle persone, anche adulte, è emersa in tutta la sua crudezza.
La gestione delle modalità di vita dei ragazzi e le relazioni create tramite il web nella didattica a distanza (DAD) ha, però, spesso accelerato alcune forme di ritiro sociale. Abbiamo preteso che gli studenti in DAD si mettessero in primo piano in evidenza di fronte a una telecamera che riprendeva anche l’ambiente di vita e tutta la classe entrava negli spazi più intimi della vita di una persona facendo sentire molti ragazzi inadeguati. Alcuni hanno iniziato a non presentarsi alle lezioni a distanza e in seguito non hanno trovato la forza e le giuste motivazioni per rientrare in classe in presenza.
Come si potrebbe prevenire questo fenomeno?
Parlando. Aumentando le occasioni per stare insieme. Migliorando la qualità dei legami con le figure adulte di riferimento: a casa e a scuola.
Spesso si ha paura a chiedere a un minore perché sta così male, quali sono i motivi per cui non vuole andare più a scuola o addirittura perché vuole scomparire. Il silenzio, il non porre domande scomode non è certo una forma di rispetto, ma un chiaro evitamento del problema che andrebbe, invece, affrontato, per provare a trovare insieme delle soluzioni. Sono le ragazze e i ragazzi stessi a ricordarci che la prevenzione del fenomeno passa dalla condivisione dei problemi, soprattutto con i compagni o i coetanei.
Noi compagni abbiamo capito immediatamente che S. non era più pronta a stare con noi, che si stava isolando; insomma tutta la scuola aveva la percezione di che cosa stava succedendo, racconta un compagno di S. una ragazza di 15 anni.
In conclusione, è evidente che c’è un chiaro bisogno di poter parlare del ritiro sociale sia nei contesti scolastici sia in quelli extrascolastici. Diventano importanti quindi le occasioni di ritrovo, come lo sport, attività per la comunità e più in generale tutto quello che promuove la socializzazione. Gli adulti, al contrario, sembrano non considerare queste risorse come preziose per ridurre il rischio del ritiro. (F. Carlorecchio)
BIBLIO/SITOGRAFIA
• F. Carlorecchio, Scuola, la dispersione e l'abbandono delle aule riguarda 3 milioni di giovani: ma la comprensione del fenomeno è diversa tra ragazzi e adulti
• E. Franco, Il ritiro sociale negli adolescenti
• S. Padoan, Ritiro sociale e pandemia: come aiutare gli adolescenti
• E. Bianchi, Hikikomori o ragazzi ritirati
• Adomagazine, Autoreclusione
• Facchini, L’ansia da prestazione che affligge gli studenti a scuola e non solo
• Vite in disparte. Prima indagine sul ritiro sociale volontario nella popolazione scolastica italiana, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Gruppo Abele, Torino, 2023
• Giovani altrove - Il ritiro sociale in adolescenza
• Vicini ma lontani. Approcci per prevenire ed intercettare il ritiro sociale di ragazze e ragazzi
A cura di Viviana Rossi e Maria Enrica Bianchi
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